Presbiterio

Di: Giuseppe Giuffrida
Anno: XX secolo - Tecnica: olio su tela

Descrizione

Un tempo le pareti del presbiterio erano occupate da un pregevole coro ligneo. L’opera, in stile barocco abbellita da 27 statuette di Santi con altrettanti portafiori, da colonnine con capitelli, da cornici e fregi, fu distrutta dai bombardamenti anglo-americani del ’43. Oggi, nella parte superiore delle pareti di destra e di sinistra, troviamo due dipinti di recente realizzazione. Sul lato sinistro possiamo osservare La predica di Giovanni Battista, realizzata da Giuseppe Giuffrida nel 2013, che presenta il Battista durante la predicazione lungo le rive del Giordano. Il Santo ha l’indice rivolto verso l’alto ed è cinto da un mantello rosso, simbolo del martirio. Giovanni fu decapitato per volere di Erode, duramente attaccato dal Santo, quando decise di sposare Erodiade, moglie del fratello.

Dello stesso autore è San Martino e il povero collocato sulla parete opposta, raffigurante uno degli episodi più noti della vita del Santo. Una notte, mentre Martino era di ronda, fu avvicinato da un uomo seminudo. Il Santo, non avendo denaro con sé, decise di dividere il suo mantello con il povero. La notte successiva l’uomo gli apparve in sogno e gli rivelò di essere Gesù.

Completa il ciclo l’imponente pala dell’altare maggiore che il Giuffrida realizza nel 2019: la Madonna in trono con i santi Martino e Giovanni Battista. Con uno stile volutamente cinquecentesco, il Giuffrida realizza un’opera che arricchisce il presbiterio. La Madonna con Bambino domina lo spazio architettonico dispensando benedizioni insieme al Figlio e nella sua volumetrica impostazione, su un podio che reca le insegne della vetusta arcipretura, viene esaltata dalla quinta scenica rinascimentale. Il Santo titolare della chiesa e il Precursore di Cristo sono posizionati lungo gli assi prospettici secondo uno schema piramidale e ciò per esaltare quel dialogo tra i personaggi, teso a rimarcare una sacra conversazione che è tipica delle opere del XVI secolo ma che qui è reinterpretata in chiave postmoderna per sottolineare il necessario ausilio della preghiera.


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