Descrizione
Storia della fabbrica
La chiesa di San Nicola si trova sulla riva sinistra del fiume Alcantara, al di fuori dell’abitato e lungo l’antico itinerario rupestre che corre longitudinalmente da Taormina a Termini attraversando la valle dell’Alcantara, Le Caronie e Le Madonie, toccando Castiglione, Randazzo, Maniace , Cesarò, Trona, Cerami, Nicosia, Sperlinga e Cerda. Le fonti riguardanti questa chiesa sono rare. Molte furono tramandate oralmente acquistando carattere di leggenda come ad esempio, quella che narra di papa Urbano II che nel 1098, passando per la Valle dell’Alcantara per raggiungere Troina, avrebbe soggiornato presso il monastero della Santissima Trinità di cui la chiesa faceva parte. Tra gli atti ufficiali, invece, la chiesa di San Niccolò de Caca, fu per la prima volta menzionata nella Bolla papale Di Urbano II del 1098 in cui si confermarono i privilegi di quella redatta da papa Gregorio VII nel 1082, che riconobbe il conte Ruggero come il salvatore della religione cristiana in Sicilia al quale vennero affidate chiese, sia greche che latine, castelli, città e mulini in vari territori tra i quali, appunto anche Castellio ovvero Castiglione di Sicilia. Per notizie più dettagliate, invece, bisogna attendere il XVII secolo quando Rocco Pirri, una delle fonti più autorevoli sulla Storia Ecclesiastica della Sicilia, narrò delle vicende del monastero della Santissima Trinità di Castrileonis, attribuendogli origine benedettina. Nella notitia decimaoctava del suo più celebre componimento, infatti specificò che anticamente la sede di questo monastero si trovasse ”prope flumen, cui nome Alcantara, delecto loco, mille passibus ab Oppido dissito. Monasterium brevi excitavere Monachi, atque Ecclesiam, quae hodie sub titulo Sancti Nicolai antiqua servat vestigia pictorarun e che successivamente fu riedificato “ad balistae jactum ab Oppido Coenobium, sub titulo SS. Trinitatis condidere”. È interessante notare che all’epoca in cui il Pirri narrò di detta chiesa (1630-1649) gli stucchi barocchi che ne ricoprivano le pareti sino alla fine dello scorso secolo non fossero ancora presenti. Fu probabilmente proprio grazie a questi stucchi, però, che le antiche pitture sottostanti si conservassero sino ai nostri tempi divenendo il motivo principale del recupero della chiesa di San Nicola di Castiglione, operato dalla Soprintendenza ei Beni culturali ed ambientali di Catania dagli anni ’90 del 1900. Le porzioni di tali decorazioni meglio interpretabili sono quelle dell’abside e delle pareti che la circondano ma si può ipotizzare che fosse interamente dipinta secondo le antiche convenzioni del programma decorativo bizantino, i cui canoni furono fissati dopo la fine dell’iconoclastia e diffusi in tutto l’impero tramite le hermeneiae, che fornivano precise istruzioni su come si dovessero dipingere le scene della storia cristiana ed i Santi. Nell’abside della chiesa di San Nicola è raffigurata la scena dell’Ascensione. Solitamente questa veniva riprodotta in base al Nuovo Testamento (Lc24,50-54; At 1, 9-12) dividendola in due scene sovrapposte dove in quella superiore veniva rappresentato il Cristo in mandorla sorretto da due o quattro angeli, ed in quello inferiore vi si raffiguravano gli apostoli (con alcuni alberi sullo sfondo) una coppia di angeli oranti e generalmente la Vergine. Nella scena dell’Ascensione, inoltre, veniva spesso inclusa la citazione del versetto degli Atti degli Apostoli 1,1. Secondo la Falla Castelfranchi in Italia esistono tre casi documentati di Ascensione che rispettano i canoni sopracitati e corredati di versetto degli Atti degli Apostoli. Si tratta dei dipinti nelle chiese di Santa Marina a Muro Leccese del X secolo, di Santa Maria a Cerrate presso Squinzano del XIII secolo (in provincia di Reggio Calabria). Come questi esempi anche la scena campita a Castiglione di Sicilia comprende la citazione del versetto degli Atti degli Apostoli ma ciò che la differenzia è la lingua in quanto nella chiesa di San Nicola la citazione non è in greco, bensì in latino. Al di sotto della figura del Cristo, infatti, una sorta di rotolo, retto da due angeli vestiti con tunica bianca e clamide rossa, presenta dei frammenti di un’iscrizione in lingua latina che sembrano proprio corrispondere al passo: Vir Galilei quid aspicitis in coelum, ovvero «Uomini di Galilea perché state a guardare verso il cielo». In basso sono poi rappresentati gli Apostoli che guardano verso il cielo tra i quali vi sono dipinti rami, palme ed ulivi che sembrano confermare anche l’ambientazione della vicenda narrata negli Atti degli Apostoli, il monte degli ulivi. Gli Apostoli, separati in due gruppi di sei figure, presentano tutti gli stessi abiti con colori alternati da una figura all’altra tranne uno di loro che si presenta con abiti differenti. Solitamente San Bartolomeo veniva rappresentato in modo diverso rispetto gli altri apostoli a causa del suo violento martirio durante il quale fu scorticato vivo, ma in questo caso è probabile che si trattasse di Mattia, sostituto di Giuda Iscariota, il quale non era ancora stato scelto al momento dell’apparizione per non modificare il numero canonico degli Apostoli. Anche la presenza della Vergine nella scena desta alcune perplessità ma è molto probabile che qui l’artista si sia attenuto scrupolosamente al testo degli Atti degli Apostoli che non la annovera tra i presenti. Intorno all’Arco trionfale della chiesa di San Nicola di Castiglione le decorazioni sono purtroppo ricche di lacune, ma dai frammenti rimasti si può ipotizzare la seguente composizione. In alto, al centro, vi erano cinque medaglioni (di cui solo tre sono oggi leggibili) entro cui erano raffigurati l’Agnus Dei in quello centrale e le rappresentazioni dei quattro Evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni raffigurati rispettivamente sotto forma di angelo, leone, bue o vitello e aquila ai suoi lati. La presenza di un frammento del corpo di un angelo alla sinistra dell’arco, invece, unito al confronto coi programmi iconografici bizantini più celebri della Sicilia (quali il duomo di Monreale o la Cappella Palatina di Palermo) permette di ipotizzare che vi fosse raffigurata l’Annunciazione con l’arcangelo a sinistra e la Vergine a destra dell’arco. Nel registro intermedio sono poi raffigurati quattro profeti dell’Antico Testamento (che tradizionalmente venivano rappresentati attorni alla figura di Gesù Cristo) secondo l’usanza diffusasi nell’XI secolo cioè non più a mezzobusto entro medaglioni ma in piedi con un rotulo dispiegato in mano. Nel registro inferiore le figure appaiono più chiare tanto da potervi identificare tre vescovi ed un diacono. Nel dettaglio la prima figura a sinistra indossa il pallio e un copricapo appuntito che sembrerebbe una mitra. Che si tratti di una mitria sembrerebbe confermato anche dal fatto che sulle spalle della figura ricadono le vittae o infule ovvero le strisce di stoffa che pendono dalla parte posteriore della mitra. La figura successiva appare come un giovano glabro che regge un libro e abbigliato con la dalmatica bianca tipica dei diaconi. Si tratta molto probabilmente di Santo Stefano Protomartire in quanto presenta una pietra sul capo, attributo del suo martirio, che solitamente lo caratterizza insieme all’incensiere (che qui non è più visibile a causa di gravi lacune). Al di là dell’abside, si trovano altre figure che reggono un libro ma di cui non sono rimasti leggibili i volti. Di tali figure non vi è traccia di iscrizioni che ne permettano una sicura identificazione ma non è da escludere che oltre Santo Stefano, vi si possano riconoscere San Nicola, San Basilio e San Giovanni Crisostomo che pare facessero parte dei raggruppamenti di santi ben codificati nel mondo bizantino. La parete sud probabilmente presentava una decorazione molto articolata in quanto vi sono varie tracce di riquadri ma purtroppo a causa di gravi lacune che interessano l’intera parete è possibile distinguere con chiarezza solo due figure. Quella di un arcangelo in posizione stante con le ali ripiegate rappresentato alla maniera tipicamente bizantina dove venivano «raffigurati in posizione rigorosamente frontale sfoggiano la ricca veste degli imperatori, con il loros (ampia sciarpa arrotolata intorno al corpo) costellato di gemme e pietre preziose, e quella della Vergine seduta in trono che indica il Bambino sul suo grembo. Si tratta probabilmente della Vergine Odigitria che solitamente regge il Bambino con il braccio sinistro e lo indica con la mano destra mentre in questo caso è raffigurata mentre lo regge con il braccio destro e lo indica con la mano sinistra. Tale iconografia è inusuale ma se ne trovano altri esempi come quello dell’icona della Madonna di Ripalta presso la Collegiata di San Pietro a Cerignola, vicino a Foggia. Vari sono inoltre i motivi decorativi astratti di colore blu e rosso e a guisa di tendaggi. Tra questi è importante menzionare una sorta di cornice decorata a losanghe rosse e blu (che imiterebbe il marmo) in quanto il medesimo motivo decorativo lo si può ritrovare nella chiesa rupestre di Santa Margherita a Mollola presso Taranto e nella cappella dello Spedale a Scalea vicino a Cosenza. Altre similitudini accomunano le pitture della chiesa di San Nicola ad altre pitture presenti nel panorama dell’Italia Meridionale come ad esempio, la raffigurazione del San Pietro nella chiesa rupestre di San Nicola di Mottola in provincia di Taranto che ricorda la figura di uno degli Apostoli sulla parete absidale della chiesa di San Nicola di Castiglione di Sicilia. Il confronto con le chiese rupestri di Campania, Puglia e Calabria risulta importante perché «contribuisce ad arricchire il quadro della pittura bizantina in Italia meridionale durante il periodo della dominazione bizantina, fine IX-fine XI secolo». Quindi sia dal punto di vista iconografico che dal punto di vista stilistico, le pitture della chiesa di San Nicola di Castiglione di Sicilia sembrano presentare le peculiarità che contraddistinsero l’arte bizantina dei secoli X ed XI ( testimoniando ulteriormente l’esistenza di importanti legami tra arte italo-meridionale e l’arte bizantina) ma con una disposizione delle scene tipica dell’Italia centro-meridionale confermando che non solo gli scintillanti mosaici del palermitano, ma anche le «modeste» pitture parietali di chiese rupestri e chiesette appartenute a piccoli monasteri narrano del grande mescolanza di culture che caratterizzò la Sicilia altomedioevale.
Testi: Bernadette Bolognini