Descrizione
Storia della fabbrica
La storia della chiesa di Aci San Filippo coincide in buona parte con quella della formazione della borgata. Come per altre chiese del territorio delle Aci, anche per la costruzione dell’edificio sacro dedicato a San Filippo d’Agira si procedette per gradi. Originariamente esisteva semplicemente un piccolo altarino, o una piccola cappella con tre mura e aperta dinnanzi, poi, per la diffusione del culto e l’aumento della popolazione, fu trasformato in una chiesa. Il piccolo borgo sorgeva sulla strada che dalla zona di Santa Venera al Pozzo giungeva a Valverde, in un territorio più sicuro rispetto ai piccoli centri della costa, che erano soggetti a incursioni di pirati, e più salubre rispetto a quello della vicina Santa Venera al Pozzo; e quindi buona parte degli abitanti di questi luoghi si sono trasferiti attorno e vicino alla chiesa di “San Filippo di Carchina” (così veniva chiamata questa località). Non abbiamo notizie certe fino al 1446, anno in cui viene citata in un documento insieme alla chiesa di Valverde. Esse furono istituite come chiese parrocchiali, per garantire delle rendite ai canonici della chiesa di Santa Maria dell’Elemosina di Catania in quanto tutto il territorio delle Aci ricadeva sotto la giurisdizione della diocesi di Catania. Essa fu assegnata al canonico Nicola de Toscano. In virtù del beneficio che le era stato conferito erano i sacerdoti di San Filippo ad amministrare i sacramenti e a portare gli oli sacri alle chiese minori che facevano parte della prebenda. L’importanza della chiesa viene sancita anche dalla presenza della confraternita di San Nicola, la più antica di tutte le Aci, che nell’agosto del 1458 disponeva addirittura di un oratorio nel territorio di Aci San Filippo. Nel 1570, il vescovo di Catania, Antonino Faraone, dopo aver concesso la festa e la processione del Santo, eleva la chiesa di San Filippo di Carchina a “Matrice di tutte le altre chiese di Aci”. Ciò sancisce il suo primato rispetto alla chiesa Annunziata di Jaci Aquilia (Acireale) che nel 1558 era stata elevata anch’essa al grado di Matrice. Nel 1640, con la formazione della nuova città di Aci Sant’Antonio e Filippo, sorta dopo la definitiva separazione da Aci Aquilia, la chiesa perde il suo primato. Infatti, tale città nasce con la caratteristica di avere due matrici e due vicari: quello di Sant’Antonio e di Santa Maria della Catena in contrada Scarpi. Il 17 giugno del 1730 l’abate Filippo La Rosa istituisce in tale chiesa una collegiata con elezione di tre dignità: un preposito, capo del capitolo, un cantore, un tesoriere e nove canonici. Nel 1872 la chiesa passa sotto la giurisdizione della diocesi di Acireale, mantenendo il titolo di matrice di Aci San Filippo. Del primitivo edificio sacro si ha solo qualche labile testimonianza, in quanto esso è stato quasi totalmente raso al suolo durante il terremoto del 1693. La chiesa doveva presentarsi imponente, anche se più piccola rispetto alla costruzione attuale. L’orientamento era il medesimo della chiesa odierna. Il prospetto guardava ad oriente ed era in linea con il campanile, nella cui base si legge un’iscrizione datata 1558. Nella loggia campanaria la presenza della campana maggiore, realizzata nel 1576, attesta che i lavori di ultimazione della suddetta torre durarono circa 20 anni. L’interno era a tre navate, ma senza transetto e cupola che sono stati aggiunti dopo la ricostruzione. Essa non è stata immediata e si dovette aspettare il 1720 per la ripresa dei lavori, ma furono bloccati, per un nuovo problema alla volta e riavviati nel 1759 per volontà del prevosto Rossi e del Vescovo Ventimiglia. La progettazione è stata affidata a Francesco Battaglia, uno dei migliori architetti del Settecento siciliano. Nel 1775 il maestro Carlo Mavilla firma un contratto per la realizzazione della cupola sul disegno del Battaglia che l’anno successivo eseguirà anche il progetto per la facciata. Nel 1789 viene realizzato il fonte battesimale; mentre nel 1795-96 è stato dato l’incarico al pittore Antonio Pennisi di realizzare le tele per alcuni degli altari della chiesa. Infine, nel 1812 i mastri catanesi Gioacchino e Giambattista Calì e Giuseppe Marino si impegnano a realizzare il pavimento musivo con marmi di Taormina rossi, bianchi e color turchino. Tale lavoro venne ultimato nel 1822, anno in cui si passò alla risistemazione degli altari con la conseguente costruzione di un nuovo organo. A partire dal 1818, a causa di intemperie naturali, l’edificio subisce vari danni ai quali si pone subito rimedio. La fine del XIX secolo e l’inizio del XX sono caratterizzati dalla volontà di ultimare ciò che ancora rimaneva incompiuto: viene sistemata la torre campanaria, vengono realizzate le tele ai quattro altari che ne erano sprovvisti e, infine, la costruzione al primo piano di due vani accanto il campanile che faranno da base alla costruzione della casa canonica vera e propria avventa nel 1930. Durante la seconda guerra mondiale due granate hanno bucato la cupola e colpito il campanile all’altezza dell’orologio, ma i lavori per la ricostruzione di questi elementi iniziarono quasi subito al termine del conflitto. Infine, nel 1987 sono state realizzate le tre porte in bronzo dallo scultore Domenico Girbino. Nel 2009 è stata insignita del titolo di basilica minore.
Prospetto
Dell’antica chiesa costruita nel corso del Quattrocento e del Cinquecento, e distrutta durante il terremoto del 1693, rimane qualche traccia nel campanile e nelle mura absidali. Il prospetto della chiesa attuale è stato disegnato dall’architetto Francesco Battaglia e realizzato tra il 1777 e il 1784. Esso, interamente in pietra bianca di Siracusa, presenta le medesime caratteristiche di buona parte delle chiese siciliane del Settecento. La facciata con profilo a salienti, rispecchia la suddivisione in tre navate dell’edificio sacro con il corpo centrale leggermente più avanzato rispetto alle navate laterali ed è composta da due ordini. Il primo presenta otto colonne ioniche abbellite nella fascia dei capitelli da ghirlande, che si alternano a tre ingressi. Il portale principale è sormontato da un timpano arcuato; invece sui due laterali si ergono due oculi (finestre ovali). Il secondo ordine è composto da una balaustra da cui si dipartono due rami di palma che fungono da raccordo con il corpo centrale più alto dell’edificio sacro. Sei colonne con capitelli compositi fanno da cornice ad un finestrone centrale incastonato all’interno di un arco sorretto da due colonne corinzie di dimensioni minori rispetto alle precedenti. Chiude il prospetto un timpano arcuato spezzato, sormontato al centro da un angelo reggi croce, mentre ai lati sono poste le statue dei Santi Filippo e Antonio. All’interno del timpano in un riquadro si legge l’iscrizione “D.O.M TOTIUS ACIS MATER ET CAPUT” “A Dio Ottimo Massimo madre e principio di tutte le Aci”. I tre ingressi sono arricchiti da tre porte bronzee eseguite dallo scultore Domenico Girbino nel 1987. Chiude la facciata il campanile, leggermente arretrato rispetto all’attuale prospetto. La struttura originale della costruzione, che comprende la base a scarpa in pietra lavica e i primi due ordini decorati da arcate cieche con due finestre per lato, richiama la forma delle antiche torri di avvistamento. Gli altri due in pietra lavica di Siracusa sono stati aggiunti nel 1792, quando ormai l’architetto Battaglia, che aveva disegnato il prospetto, era già morto. Evidente risulta il contrasto tra la parte antica della torre campanaria e quella moderna. Sul terzo registro al di sotto della modanatura si apre una monofora, mentre sul quarto ordine, arricchito da quattro pigne poste negli angoli, si erge una finestra con balaustra, invece al di sopra sono collocate le campane. Su una delle facciate della parte antica del campanile all’interno di un’iscrizione ormai poco leggibile si legge la data 1558. La cupola, eseguita tra il 1775 e 1784 sempre su disegno dell’architetto Battaglia, si innalza su un imponente tamburo ottagonale, mentre eleganti lesene suddividono in spicchi la superficie. Una balaustra in pietra bianca di Siracusa contribuisce a dare eleganza alla costruzione.
Testi: Silvia Giuffrida