Descrizione
Storia della fabbrica
La basilica di Santa Maria costituisce il nodo nevralgico dell’omonimo quartiere di originaria lingua latina, creato come avamposto sull’asse est-ovest della città, su cui sorgono anche le chiese di San Nicola e di San Martino, nei rispettivi quartieri di antica lingua greca e lombarda che scandivano i nuclei medievali della cittadina etnea, triade di edifici ecclesiastici che a turno annuale si avvicendarono nel ruolo di matriciato tra il 1466 e il 1936, anno a partire dal quale Santa Maria assumerà il titolo di chiesa madre. Secondo una tradizione orale, non supportata da alcuna documentazione scritta, il culto della Vergine a Randazzo è legato al ritrovamento dell’affresco della Madonna del Pileri in una grotta il cui sito era in prossimità dell’odierna zona absidale della basilica (Plumari 1833, Ms. f. 1238). La leggenda sottolinea la scoperta dell’immagine, compiuta da un pastore, in un anfratto il cui ingresso era stato reso inaccessibile da quanti volevano proteggere la sacra icona dalle distruzioni iconoclaste o dalle scorrerie arabe (Virzì 1984, p. 15). Al di là della tradizione, accolta dalla storiografia locale, va sottolineato che l’opera era collocata su un altare posto in prossimità del secondo intercolumnio della navata sinistra dell’edificio, quindi in posizione non centrale, al di sopra – si presume – del luogo dell’antico ritrovamento e ivi restò fino al 1884 quando, unitamente all’altare barocco, fu spostata nel presbiterio ed in seguito nascosta da una nuova icona perché deperita. Solo nel 1962 l’antica icona fu restaurata e collocata a ridosso della parete settentrionale, in corrispondenza dell’ingresso laterale dell’edificio. Fortemente compromessa dallo scorrere dei secoli e da continue ridipinture, la Vergine è rappresentata nell’atto di indicare verso il Bambino, che regge sul fianco sinistro, dunque come Odigitria, elemento che ci induce a rimarcare la cifra stilistica bizantina dell’immagine. La Deiparae imago, come è chiamata nell’iscrizione ottocentesca posta al di sotto della stessa, indossa paludamenti color cremisi, avvolti da maphorion ceruleo con lumeggiature dorate. Quasi del tutto deperita è la figura dell’infante, probabilmente ritoccata nel volto, mentre è distinguibile il libro della Parola che il bimbo reca nella mano sinistra. Dal punto di vista cronologico, l’opera non è da datare ante sec. XIII. L’edificio religioso, pur non essendo mai stato eretto a santuario, presenta oggi e ancor più presentava in passato, peculiari elementi di pietà popolare legati alla prodigiosa immagine della Vergine Maria. Attorno al suo culto ruotano le vicende storiche della chiesa contrassegnate da un continuo miglioramento delle strutture e degli arredi, dalla concessione di indulgenze e della fiera franca in corrispondenza delle festività agostane, che solo un flusso molto consistente di pellegrinaggi poteva garantire. Nel 1088 la primitiva chiesa ospitò Urbano II che, durante il viaggio verso Troina, sosta a Santa Maria ammirato dalla fede e dalla bellezza del luogo che custodiva l’immagine della Vergine. Per tale ragione gli storici locali sostengono che il pontefice concesse all’arciprete il titolo di “abate nullius” (Virzì 1984, p. 57; Spartà 2004, pp. 48-49). L’interno basilicale ha subito un processo di trasformazione nel sec. XVI su disegno di Andrea Calamech (Ibidem, p. 24; Rizzeri 2008, p. 195), con una ritmica fuga prospettica di colonne monolitiche, in pietra lavica con capitelli corinzi, al di sopra dei quali l’interposizione di un doppio pulvino permette un maggiore slancio ascensionale delle arcate, creando un percorso pausato teso a rimarcare gli altari laterali, vera e propria galleria di opere pittoriche. Un evento fondamentale legato alla storia della nostra chiesa fu la donazione della baronessa Giovannella De Quatris avvenuta nel 1506 dei feudi del Flascio e del Brieni alla Maramma della chiesa (Archivio Chiesa Santa Maria, vol. XX, f. 1; Vagliasindi Polizzi 1906, pp. 18-22). Ciò diede impulso al completamento della costruzione dell’edificio ed alla commessa di nuove opere, dando uno slancio non indifferente all’esercizio del culto. È in questo contesto che si colloca la consacrazione dell’edificio in honorem beatissimae Virginis l’1 aprile 1551 da parte di monsignor Giovanni Antonio Fasside, vescovo ausiliare di Monreale (La Ruota 2001, p. 8). Lo stesso personaggio svolgerà un ruolo di primo piano nella commissione della monumentale custodia eucaristica in argento dorato al palermitano Antonio Cochula nel 1561, opera che è un condensato di perizia artistica rinascimentale e pensiero teologico per la rappresentazione dei principali misteri cristologici (Agostini 2014, p. 61). Un tempo appartenente alla archidiocesi di Messina, dal 1844 ricade nella diocesi di Acireale; fu eretta a parrocchia ab antiquo e insignita della dignità di Basilica Minore il 20 settembre 1957 da Pio XII.
Prospetto
Il prospetto principale racchiude un’alta torre campanaria costruita tra 1852 e 1863 in stile neo gotico su progetto di Francesco Saverio Cavallari (Virzì 1984, pp. 42-47) sul modello delle facciate-torri d’oltralpe, in cui l’uso predominante della pietra lavica si alterna alla pietra bianca di Siracusa tesa a rimarcare le traforature, le ghimberghe e la svettante guglia terminale. L’odierna struttura architettonica, costruita in conci basaltici squadrati su un’asperità rocciosa che si conclude nel punto di congiunzione tra l’impianto basilicale delle navate e il transetto, ha subito non pochi inserti nel corso dei secoli. Abbastanza omogenea è la struttura scatolare della zona presbiteriale da cui fuoriescono le absidi semicilindriche visibili già a notevole distanza e per la quale gli studiosi sono quasi tutti concordi per una cronologia federiciana come ci attestano le due epigrafi citate poste al di sotto della zona della sagrestia (Toesca 1951, p. 81; di diverso avviso Bellafiore 1993, p. 64 che la assegna agli inizi del sec. XVI). La muratura è impostata su uno zoccolo al di sopra del quale sono feritoie longitudinali che permettono l’illuminazione degli ambienti della cripta. La nitida superficie basaltica è interrotta soltanto dalla decorazione ad archetti ciechi a tutto sesto del coronamento dell’abside centrale e ad archetti pensili per le minori. Diversi interventi hanno subito invece i paramenti murari dei prospetti laterali, sempre in conci lavici e con l’apertura di bifore e monofore ascrivibili al periodo rinascimentale. Di notevole interesse i due ingressi laterali con chiari rimandi all’architettura gotico-catalana. Nella lunetta del portale meridionale è una piccola Madonna con Bambino di scuola pisana, scultura in marmo bianco ascrivibile al sec. XIV.
Testi: Antonio Agostini