Descrizione
Storia della fabbrica
L’edificio religioso non presenta il titolo canonico di santuario, ma possiede elementi devozionali, legati al passato, ancora vivi presso le popolazioni dei paesi della valle dell’Alcantara che tributano particolari onori all’immagine della Madonna della Catena, ab antiquo meta di pellegrinaggi a piedi. Attorno al suo culto ruotano le vicende costruttive della odierna chiesa, oggetto di continui miglioramenti e ampliamenti, soprattutto in corrispondenza di particolari anniversari legati ad eventi miracolosi. La basilica, in posizione est-ovest, sorge nelle vicinanze della «rupe altissima e da ogni lato dirupata» (cfr. C. Grassi 1905, I, p. 70) su cui è edificato il castello di Lauria, che costituisce il punto più elevato della struttura urbana di impianto medievale, da cui si domina l’intera vallata. Il culto della Madonna della Catena si diffuse in città dal XV secolo, ed ebbe maggiore impulso a metà del Cinquecento quando venne commissionata la scultura marmorea probabilmente dalla famiglia Gioeni e collocata nella primitiva chiesa di San Giacomo extra moenia. Un fatto prodigioso avvenuto il 12 maggio 1612, quando «l’immagine di marmore detta nostra donna della Catina intro l’eclesia (sic) di Santo Iacopo di questa città, molte volte sudao, del quale sudore sinni racolse (sic) una carraffina et si co(n)servao, del quale successo et sudore sinni scrissi per l’arciprete questa città all’ill(ustrissi)mo et rev(eren)d(i)s(si)mo do(n) Petro Ruiz Arcivescovo di Messina» (G. Prescimone 1616, Ms. f. 17; G.L. Sardo 1991, p. 69), diede maggiore impulso alla devozione nei confronti della Vergine facendo convergere gli abitanti nella costruzione di un edificio più dignitoso che fosse posto all’interno della cerchia muraria. A questo evento si aggiunse l’editto che nel 1623 emanò Filippo IV re di Spagna con il quale si stabiliva che in tutto il regno la Vergine Maria dovesse essere proclamata patrona e protettrice «facendone annualmente particular festività con novenario, il quale stabilischi e cominci ogni anno la prima domenica in Albis doppo mezzogiorno per le prime vesperi sollenni, quali finite si facci processione generale in ciascheduna Città e Terra» (cfr. A. Manitta 1996, pp. 103-104). Quanto accennato diede impulso alla costruzione della nuova chiesa a partire dal 1655, abbandonando col tempo il vetusto edificio che era stato colpito da un movimento franoso. Il libro dei Conti di San Giacomo registra numerose spese per la fabbrica fino al 1664, momento dal quale l’edificio si presume finito. Da alcuni legati testamentari apprendiamo che la chiesa possedeva due cappelle, una dedicata a san Giacomo e l’altra alla Madonna della Catena (cfr. G.L. Sardo 1991, p. 34). Se ne desume che la statua marmorea della Vergine fu qui traslata definitivamente. Secondo una tradizione orale, riportata all’inizio del secolo scorso da uno storico locale, il simulacro della Madonna insieme ad altre due statue similari custodite a Motta Camastra (Immacolata: cfr. C. Grassi 1905, IV, p. 128) e a Roccella Valdemone (Madonna dell’Udienza) «fossero insieme, notte tempo, trasportate da buoi, e deposte nei locali nominati» (V. Sardo 1910, p. 202). Per quanto riguarda la cronologia del manufatto, si possiedono notizie sulla volontà della Congregazione di San Giacomo di eseguire nel 1554 una statua della Madonna della Catena presso un artista messinese, notizia che si lega alle intenzioni della famiglia Gioeni di creare una scultura devozionale che portasse tale titolo (V. Sardo 1919, p. 203, n. 1), ma tale commessa restò inevasa. In mancanza di documenti probanti, gli storici dell’arte hanno avanzato ipotesi sui nomi legati alla bottega di Antonello Gagini, artisti appartenenti a quella corrente definita «manierismo gaginesco» che però ha «ben poco dell’autentica arte del maestro» (B. Patera 2008, p.125)
I candidi volti della Vergine e del divin Infante hanno lo sguardo rivolto verso l’osservatore, mentre assolutamente sorprendente è l’intreccio tra la mano sinistra del Bambino e quella della Madre che sembrano completare quella catena aurea che è sostenuta dai due personaggi. Il blocco marmoreo, di sette quintali circa di peso, è poggiato su una base ove sono scolpiti alcuni episodi legati al miracolo della Catena avvenuto a Palermo nel XIV secolo, in cui tre prigionieri condannati a morte vengono liberati dalle catene grazie all’intervento della Vergine (cfr. A. Manitta 1996, pp. 92-96). La festa di maggio risale ad un evento, avvenuto nel marzo del 1809, durante il quale una intensa eruzione dell’Etna fece radunare insieme i cittadini di Castiglione e della vicina Linguaglossa, uniti in preghiera per scongiurare il pericolo derivante da una colata lavica che distrusse parte dei territori coltivati in zona Cirmanera, da cui dipendeva l’economia della popolazione. Era il sabato santo quando due processioni, l’una da Castiglione con la statua di san Giuseppe e l’altra da Linguaglossa con il simulacro del patrono sant’Egidio si riunirono in località Croce di Cerro. Le proposte di penitenza e digiuno, sancite il giorno successivo dal sacerdote Francesco Ferrara, furono accolte benevolmente dai fedeli. Alla presenza del notaio Aloisio Stagnitti Garagozzo, il 2 aprile dell’anno citato, i giurati, il sindaco e l’arciprete parroco Antonino Michele Sardo, a nome loro e della «intiera popolazione», stipularono un atto pubblico in cui si sottolineava l’impegno a digiunare «in ogni anno usque in perpetuum et infinitum, in ogni giorno del mercoledì dopo la Pasqua di Resurrezione […] ad effetto di placarsi mediante il presente perpetuo voto l’ira dell’Altissimo, in far cessare il fuoco» (V. Sardo 1919, doc. XXIV, p. 276). Con una ulteriore processione venne portato il simulacro della Madonna davanti al fronte lavico che «miracolosamente si arrestò dopo qualche giorno» (A. Manitta 1996, p. 107). Con un nuovo atto stipulato il 23 aprile 1809 si stabilì che nell’anniversario della grazia ricevuta, la dominica in Albis, si solennizzi la festa in onore della Vergine. Un nuovo episodio di invasione lavica avvenne nel 1879 nei pressi della frazione di Passopisciaro ove venne traslata la statua della Madonna: ancora una volta le bocche eruttive si spensero «prima ancora degli otto giorni, dacchè si pregava la Beata Vergine della Catena» (V. Sardo 1910, p. 204, n. 3). Sono questi eventi che portarono negli anni a venire un notevole incremento del flusso di pellegrinaggi tanto che, all’inizio del secolo scorso, si rese necessario un ampliamento dell’edificio sacro, soprattutto in previsione delle celebrazioni del centenario dallo scampato pericolo che avrebbero dovuto svolgersi nel 1909. La stessa pergamena inserita all’interno della prima pietra, messa in opera nel 1905 per i lavori di ampliamento, ricordava la grazia ricevuta «a preservatione civitatis et finitorum locorum» (cfr. A. Manitta 1996, p. 30). I lavori comunque si protassero a lungo ed ebbero un momento di svolta con la consacrazione dell’edificio il 14 agosto 1923 da parte di monsignor Fernando Cento, Vescovo di Acireale. L’odierna struttura architettonica, trasformata a croce greca con gli ultimi ampliamenti, è posta al culmine di una scalinata in basalto lavico, lo stesso materiale utilizzato per lo zoccolo di fondazione. Un tempo appartenente alla archidiocesi di Messina, dal 1844 ricade nella diocesi di Acireale; fu insignita della dignità di Basilica Minore il 30 ottobre 1985 da Giovanni Paolo II.
Prospetto
La facciata a capanna è opera di Baldassare Greco di metà Settecento: una cornice marcapiano suddivide i due ordini costituiti da blocchi in arenaria che definiscono lesene che permettono un leggero movimento della superficie. Al centro è il portale in pietra bianca scolpito nel 1743 da Baldassarre Greco, caratterizzato da due raffinate colonne tortili con elementi fitomorfi nella parte inferiore, mentre nella parte superiore sono volute con vasi e stemma con epigrafe dedicatoria. Nelle due edicole laterali sono collocate le statue di san Giacomo e di san Filippo.
Testi: Antonio Agostini