Il cammino dei tre santi Alfio, Filadelfo e Cirino

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Descrizione

Agiografia

Il documento più lontano nel tempo, che ci dà notizia dei tre fratelli martiri Alfio, Cirino e Filadelfo, è la Passio del loro martirio contenuta nel codice Vaticano n. 1591. Questa documentazione è giunta fino a noi grazie ad un autore greco dell’Italia meridionale di nome Basilio che nel 964 ricopiò un precedente testo risalente all’VIII secolo. Come tutte le Passio, la cui finalità principale è quella di evidenziare come i Santi martiri hanno vissuto la loro fedeltà a Cristo e al Vangelo, anche quella di Alfio, Filadelfo e Cirino, oltre ad essere intessuta di elementi leggendari presenta numerose inesattezze ed imprecisioni. Ma è proprio quella tramandataci da Basilio, con le sue tante lacune, che costituisce il testo base che ha permesso la diffusione del culto e l’affermazione della devozione molto radicata in Sicilia, luogo dove secondo la tradizione avvenne il loro martirio.
Alfio, Filadelfo e Cirino, nascono a Vaste piccolo centro in provincia di Lecce intorno al 230 quando sul soglio pontificio siede papa Urbano I ed è imperatore Alessandro Severo. Il padre Vitale e la madre Benedetta Locuste, entrambi di origini aristocratiche, sono cristiani. In tenera età perdono la madre che, per prima, dopo aver dichiarato pubblicamente la sua fede e denunciato le ingiustizie perpetrate nei confronti dei cristiani, affronta il martirio. Nel 249 diventa imperatore Decio che scatena una terribile persecuzione contro i cristiani e che continua anche dopo la sua morte. In Puglia viene inviato il prefetto Nigellione che con l’accusa di ribellione verso la religione degli avi, fa arrestare Vitale, i tre figli, il nipote Erasmo e il loro maestro Onesimo. I tre fratelli vengono sottoposti a terribili torture per indurli a rinnegare Cristo. Nigellione, non volendo condannare a morte cristiani appartenenti ad una delle più famiglie patrizie romane più influenti, decide di mandarli a Roma. Qui vengono rinchiusi nel carcere mamertino e incatenati a grosse catene. Durante la notte ricevono in sogno la visita di San Pietro e San Paolo che anche loro erano stati in catene nello stesso carcere. I principi degli apostoli, dopo aver indicato i terribili supplizi che devono ancora affrontare, spezzano le loro catene. Vengono allora condotti davanti a Cornelio Licinio Valeriano, il vice di Decio che si trova in Oriente a combattere contro i persiani. Vista la fermezza con cui i tre giovani continuano a proclamare la loro fede in Cristo, Valeriano prima li fa flagellare e poi li invia a Pozzuoli da Diomede, famoso per la sua crudeltà. Per costringere i tre fratelli a rinnegare la loro fede, Diomede li fa assistere al martirio del loro maestro Onesimo e alla decapitazione del cugino e di altri loro compagni. I tre giovani si dimostrano irremovibili e vengono allora mandati in Sicilia per comparire davanti a Tertullo. Dopo tre giorni di navigazione sbarcano in Sicilia il 25 agosto del 252. A Taormina, Tertullo non riuscendo a convincere i tre fratelli a tornare alla religione dei loro antenati, fa tagliare le loro bionde chiome e fa versare sul loro capo della pece  bollente, poi fa serrare il loro collo e le loro mani tra pesanti travi e li fa condurre a Lentini. Una recente colata lavica impedisce l’accesso alla via costiera per cui sono costretti a viaggiare attraverso i tornanti dell’Etna. Mentre si trovano sulla collina dove oggi sorge la località di Sant’Alfio, Filadelfo, stremato dalla fatica, chiede ai fratelli di pregare insieme a lui Dio affinchè lo sostenga durante questa terribile prova. Allora scoppia una tempesta che spazza via le travi e appare loro l’apostolo Andrea che li sostiene e li conforta. La tempesta cessa, il sole torna a splendere e i tre giovani riacquistano la loro bellezza e il loro vigore. Tra la fine di agosto e l’1 settembre giungono a Trecastagni e trovano riposo proprio dove oggi sorge il Santuario edificato in loro onore. Una volta giunti a Catania vengono rinchiusi nel carcere che ancora oggi esiste e si trova sotto la chiesa dei Padri Minoritelli, situata in via A. di San Giuliano e al quale si ha accesso proprio dall’altare a loro dedicato. Quando giungono sul fiume Simeto vengono costretti dai soldati ad attraversare il fiume nonostante sia ingrossato a causa delle recenti abbondanti piogge. Ma le acque al loro passaggio si ritirarono e i fratelli raggiungono salvi la riva. Giunti a Lentini con le loro preghiere, liberano un giovane ebreo indemoniato e questo provoca molte conversioni in questa città. Il 3 settembre vengono consegnati ad Alessandro, vice di Tertullo che li fa rinchiudere in carcere. Mentre attendono il ritorno di Tertullo impegnato in oriente in una campagna militare, grazie alla loro intercessione avviene la guarigione di Tecla, nobile cugina di Alessandro. La giovane colpita da paralisi alle gambe, saputo della guarigione dell’ebreo indemoniato, vuole incontrare i tre fratelli. Riacquistato l’uso delle gambe grazie alla loro intercessione, Tecla si reca in carcere per portare conforto ai tre giovani e curare le ferite dovute alle torture loro inflitte. Durante le visite in carcere, accompagna la giovane miracolata, Giustina, cugina di Tecla, colpita da cecità ad un occhio. La guarigione di Tecla e di Giustina, spingono Alessandro ad abbracciare la fede cristiana. Tertullo una volta rientrato a Lentini, quando scopre che venti dei suoi soldati sono diventati cristiani, prima li fa flagellare e poi li condanna alla decapitazione. I loro corpi vengono recuperati da Tecla che provvede a dare loro una degna sepoltura. Intanto Tertullo ordina che i tre fratelli siano condotti al suo cospetto. Sorpreso che sul loro corpo non ci siano segni delle torture subite, cerca di costringere i tre giovani fratelli ad abbandonare la loro fede in Cristo. Dopo otto mesi di carcere, vedendo che in città i cristiani aumentano di giorno in giorno, Tertullo emette la sua condanna a morte. È il 10 maggio dell’anno 253 quando ad Alfio, che ha poco più di ventidue anni, viene strappata la lingua, Filadelfo, che ha ventun’anni, viene posto su una graticola incandescente e Cirino, il più giovane, di soli diciannove anni, viene immerso in una caldaia di pece bollente. I loro corpi vengono recuperati da Tecla e Giustina e trovano sepoltura in una grotta dove, finite le persecuzioni, viene costruita una chiesa in loro onore.

 

Il culto

La più antica traccia del culto di Alfio, Filadelfo e Cirino si trova nel Menologio dell’imperatore Basilio Porfirogenito, redatto nel 984. L'opera, composta su ordine dell’ imperatore da Simone Metafraste, contiene brevi elogi di Santi che, ordinati secondo i mesi dell’anno, venivano letti durante le celebrazioni liturgiche. Nei testi anteriori al Menologio, non c’è traccia di Alfio, Filadelfo e Cirino, né nella Chiesa greca, né in quella latina. Nella chiesa cattolica, il culto dei tre Santi fratelli, è stato riconosciuto ufficialmente solo in epoca moderna quando il cardinale Cesare Baronio, nel 1586, ha inserito i tre fratelli nel martyrologium romanum. Nel corso dei secoli, il culto dei tre santi fratelli, si è affermato non solo a Lentini, in provincia di Siracusa, luogo dove è avvenuto il loro martirio, ma anche nei luoghi in provincia di Catania, toccati dai tre fratelli, quando da Taormina si recarono a Lentini. Il culto di Alfio, Filadelfo e Cirino è strettamente legato alle vicende delle loro reliquie. Secondo la tradizione i corpi dei tre fratelli rimasero sepolti a Lentini fino al IX secolo, quando per preservarli dalla furia devastante dei Saraceni, vengono nascosti in un luogo più sicuro. Quando gli arabi lasciarono la Sicilia, alcuni Longobardi trovano delle cassette con delle ossa insieme ad un manoscritto greco che risultò essere gli atti del martirio dei tre fratelli. Le ossa dei Santi vennero sotterrati nei pressi del monastero di San Filippo di Fragalà dove rimasero fino al loro ritrovamento avvenuto nel 1516. La notizia giunse fino a Lentini suscitando il desiderio di entrare in possesso delle sacre reliquie. Un gruppo di cento cavalieri si recò al monastero per sottrarre con la forza ai monaci le casse contenenti le ossa dei tre Santi che furono riportate a Lentini nel settembre del 1517. Per cancellare la grave colpa della violenza commessa, fu chiesto a papa Leone X, una Bolla d’indulgenza e il diritto di possesso delle reliquie. Nel 1611, papa Paolo V, concesse l’autorizzazione alla recita delle officia di Alfio, Filadelfo e Cirino durante la celebrazione eucaristica della loro festa. All’autorizzazione papale nel 1613, si aggiunse quella del viceré. Da questo momento la devozione verso i tre Santi fratelli si diffuse e si radicò in molti luoghi della Sicilia.

 

Culto e festa a Trecastagni

Oltre a Lentini, il 10 maggio, data in cui secondo la tradizione i fratelli subirono il martirio, molti paesi della Sicilia rendono omaggio ai tre Santi. Nella Sicilia orientale i luoghi in cui la festa assume particolari connotati di spettacolarità sono Trecastagni e Sant’Alfio. Le notizie più antiche della festa di Trecastagni, luogo dove secondo la tradizione i tre fratelli riposarono all’ombra di castagni secolari prima di raggiungere Lentini, risalgono al 1699. Nel corso dei secoli la festa ha perso gli aspetti più folkloristici, quali la corsa dei carretti siciliani, l'utilizzo dei carretti che riportavano gli "imbriachi" a Catania, cioè coloro che per festeggiare sant'Alfio consumavano carne di pecora cotta al forno accompagnata da abbondante vino. A partire dagli anni '30 si sono attenuate quelle forme estreme di devozione che vedeva alcuni devoti percorrere la navata  della chiesa in ginocchio, o addirittura strisciando la lingua sul pavimento. La festa invece non ha perso i suoi momenti più intensi quali la svelata dei simulacri dei tre Santi che avviene tra le invocazioni dei devoti e fedeli e l’arrivo dei nudi che culmina in un pianto liberatorio dei pellegrini scalzi che si raccolgono ai piedi dei Santi all’interno del Santuario la cui costruzione ha avuto inizio intorno al 1650. Edificato nello stesso punto in cui sorgeva un’edicola che ricordava il passaggio dei tre fratelli ed elevato a Santuario il 1 febbraio del 1929, custodisce al suo interno le statue dei tre fratelli e un grandissimo numero di ex voto donati o fatti realizzare dai fedeli in ringraziamento per le grazie ricevute.

 

Culto e festa a Sant'Alfio

Sul luogo dove secondo la tradizione i tre fratelli vennero liberati dalle pesanti travi che opprimevano i loro corpi, sorge Sant’Alfio che per evitare la concomitanza della festa di Trecastagni rende omaggio ai suoi Santi protettori l’ultima domenica di aprile. L’annuncio della festa avviene alle dodici con un festoso scampanio. Il mattino del sabato precedente la festa, i simulacri dei coli la festa ha perso gli aspetti più folkloristici quali la corsa dei carretti siciliani, l’utilizzo dei carretti che riportavano gli imbriachi a Catania, cioè coloro che per festeggiare Sant’Alfio consumavano carne di pecora cotta al forno accompagnata da abbondante vino. A partire dagli anni ’30 si sono attenuate quelle forme estreme di devozione che vedeva alcuni devoti percorrere la navata della chiesa in ginocchio, o addirittura, strisciando la lingua sul pavimento. La festa invece non tre Santi vengono posti sull’altare per la celebrazione delle messe e per l’accoglienza dei pellegrini scalzi che portano dei ceri da porre sull’altare in omaggio ai tre Santi fratelli. La festa raggiunge il culmine la domenica quando i simulacri vengono posti nuovamente sull’altare in attesa della trionfale uscita che avviene alle ore 15 del pomeriggio. Ha così inizio la processione dei simulacri che insieme alle reliquie vengono salutati dai devoti e dagli abitanti del paese, dallo sventolio di fazzoletti. All’interno della chiesa madre, oggi dedicata a Sant’Alfio ma un tempo alla Madonna delle Grazie, sono custodite i simulacri dei tre Santi donati alla chiesa nel 1818 e realizzate su commissione della Confraternita di Sant’Alfio, Filadelfo e Cirino di Acireale nel 1755. Le tre statue, di cui si conosce l’anno di realizzazione ma non il loro autore, erano custodite nella Basilica dei Santi Pietro e Paolo e sono state sostituite da un nuovo trittico realizzato nel 1818 su commissione della Confraternita.
La devozione verso i tre Santi molto radicata a Sant’Alfio è legata anche alle eruzioni dell’Etna del novembre 1928 e del maggio 1971, quando l’intercessione dei tre Santi, ha salvato il paese dal pericolo della lava. In segno di ringraziamento del miracolo del 1928, in località Magazzeni, luogo in cui la lava che minacciava il paese di Sant’Alfio si arrestò, venne costruito, nel 1958 trent’anni dall’evento, un piccolo santuario che custodisce una tela che ritrae i tre Santi Fratelli.

 

Culto ad Acireale

Anche ad Acireale la devozione verso i Santi Fratelli è molto radicata ed è legata alla Confraternita dei Santi Alfio, Filadelfo e Cirino. La nascita di questa Confraternita, collocabile tra il 1636 e il 1680, è legata alla storia della chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo in quanto contribuì alle spese della sua costruzione. La partecipazione alle spese dell’edificazione della Basilica, ha dato alla Confraternita il diritto di avere un altare dedicato ai Santi fratelli. L’altare, il primo del lato destro della navata, è stato arricchito da una tela realizzata nel 1681, dal pittore acese Giacinto Platania. L’opera ritrae i tre fratelli durante la loro prigionia nel carcere mamertino di Roma, quando ricevono la visita dei Santi Apostoli Pietro e Paolo che spezzano loro le catene, strette tra le mani di due angioletti visibili nel registro inferiore della tela. Nel 1755 la Confraternita fa realizzare il gruppo statuario dei tre fratelli per essere portato in processione per le vie della città. Nel 1818 i simulacri vengono donati alla chiesa di Sant’Alfio e sostituti con un nuovo grupp statuario che fino al 1953 veniva portato trionfalmente in processione per la festa esterna. Da questa data in poi i tre Santi fratelli martiri vengono festeggiati con una solenne festa interna in basilica. Il gruppo statuario di cui non si ha certezza dell’autore, per alcuni identificabile con Ignazio Castorina Canzirri, presenta i protagonisti ritratti secondo l’iconografia tradizionale; i loro giovani volti incorniciati da folte chiome bionde, recano la palma del martirio e il Vangelo mentre Alfio, collocato al centro, sorregge con la mano destra il Crocifisso.

 

Culto a Santa Maria la Strada

Nel Santuario di Santa Maria la Strada a Giarre, è custodita la tela raffigurante LaVergine con il Bambino e Santi del pittore acese Pietro Paolo Vasta. Nato ad Acireale il 13 luglio 1697 è considerato il genius loci del luogo in quanto pittore e architetto. Dopo aver appreso i primi rudimenti dell’arte pittorica presso l’Accademia del Disegno e del Nudo del pittore messinese Antonio Filocamo, si trasferisce nel 1714, a Roma per approfondire i suoi studi presso l’Accademia di San Luca. Durante questo soggiorno, nel quale gode della protezione del cardinale Ottoboni, subisce l’influsso di grandi maestri presenti nella capitale. Dopo 17 anni lascia Roma e si sposta a Napoli e intorno agli anni '30 del Settecento fa ritorno nella sua Acireale dove realizza gli affreschi della chiesa di San Sebastiano, della Basilica Cattedrale, della chiesa di San Camillo, della chiesa del Suffragio e di sant’Antonio di Padova. Mentre esegue gli affreschi di questa chiesa, viene colpito da un ictus che prima lo porta alla paralisi e dopo alla morte. Pietro Paolo Vasta, molto attivo in tutta la provincia catanese, muore il 28 novembre 1760.
La tela presenta al centro la Vergine con il Bambino con accanto San Gaetano da Thiene fondatore della Congregazione dei Chierici Regolari detti poi teatini. Questa immagine è legata all'agiografia del Santo il quale, durante una visione vide la Madonna che gli porgeva il Bambino. Nel registro inferiore dell'opera troviamo inginocchiati i tra Santi fratelli ritratti con la palma del martirio. registro inferiore inginocchiati i tre fratelli ritratti con la palma del martirio. La presenza di questa tela testimonia ancora una volta come il culto dei tre Santi martiri sia radicato in questa parte della Sicilia.

 

Culto a Linguaglossa

Concludiamo il nostro itinerario facendo tappa a Linguaglossa dove, nella chiesa di San Francesco di Paola, troviamo un altare che custodisce l'interessante statua di Sant'Alfio, opera lignea del  XVIII secolo che raffigura solo il più grande dei fratelli seduto su un trono. La posizione del protagonista è tale da suggerire l'idea del movimento poichè il Santo sembra sollevarsi per andare incontro all'osservatore recando in mano il crocifisso e il libro delle Sacre Scritture. L'ignoto scultore corresa la statua di una raffinata sedia rivestita in oro zecchino che documenta il culto in questa zona dell'etneo. Attualmente la statua viene portata in processione il 10 maggio con grande concorso di popolo.



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